"Diputa in tribunale tra la perpetua e il monsignore, 2011"
IL “SATYRICON” DI CORRADO GRAPPEGGIA
Nei lavori di Corrado Grappeggia pittura, musica e letteratura si compenetrano nell’incedere dell’artista. La pittura, in particolare, avevo già osservato, si carica di segni e significanti che riportano ad una composizione rigorosa ed a soggetti prediletti, come le figure maschili e femminli, dal titolo più che connotativo. Il tutto legato, naturalmente, ad una curiosità incessante, ad un peregrinare continuo, ad un desiderio profondo di riuscire a cogliere in quanto lo circonda il lato oscuro e quello illuminato, la drammaticità e l’allegria velate sempre, queste ultime, da una sana rilettura comico-satirica. Ed il tutto raccolto nella modernità figurativa, nella correttezza e nell’equilibrio della sintesi formale; in una parola nella civiltà della sua pittura. Specie per la vitalità delle immagini che nascono dai colori caldi (i colori del sole, del sud, del mediterraneo). E di colori caldi si nutrono, in particolare, le figure dell’artista, vero fulcro di una produzione ora dal sapore boteriano, ora come volumetrie di primitive fertilità, ora trattate alla Paolo Magnani, ora riportate al pensiero di un Tintoretto di “Susanna ed i vecchioni” che fanno esplodere la carne, il sangue ed il cervello. Ma c'è un particolare da sottolineare in ordine all'incedere del lavoro dell'artista murellese. E cioè che mentre oggi l’ideale corporeo, impresso ogni giorno nei cervelli da una massiccia proliferazione di immagini pubblicitarie, è quello denutrito delle top model filiformi o quello, unto e scolpito, dei maschi culturisti e palestrati, Grappeggia si avvale di modelli contrari. E mentre le top model possono svolgere il ruolo che nell’antica Grecia competeva ad Afrodite, cioè un ideale fantastico cui il pubblico dovrebbe aspirare, l'arte figurativa del nostro si confronta con la realtà delle contraddizioni esistenti nella società e l’uso del corpo caricaturalmente obeso o cadentemente invecchiato viene presentato come sana bellezza un po’ carnosa o sfottò di rimembranze giovanili usato in maniera simbolica. Quello di Corrado Grappeggia è quindi un caso particolare. A prima vista le opere si segnalano per le loro proporzioni esagerate e per la procacità delle figure femminili in particolare (si vedano in mostra “Nozze d'oro”, “Spaghettata a Soverato” o “La vedova allegra”) e poiché spesso si pensa che la “gente grassa” sia una rappresentazione satirica dei soggetti e delle situazioni la composizione si ridurrebbe a tale interpretazione. Ma la sua spiegazione è diversa poiché egli parte dal concetto che un artista è attratto da certi tipi di forme senza saperne il motivo, anche se nell'inconscio il perchè è molto evidente. Quindi prima adotta una composizione per istinto e solo in un secondo tempo cerca di razionalizzarla o anche di giustificarla. Per cui, in realtà, Grappeggia va considerato, specie alla luce degli ultimi lavori, non solo come un artista figurativo ma come un pittore astratto nel senso più generale del termine, in quanto sceglie colori, forme e proporzioni da usare solo in base alle sue intuizioni estetiche condizionate poi dalla cultura d'origine e dalla sua intensa partecipazione al tessuto sociale in cui opera. Un tessuto vivibile ma risibile, esasperato nelle misure ed esaltato nei comportamenti, deriso nei suoi difetti, ma condiviso nei giusti valori morali. Ingigantito sempre nella negatività, sottolineato comunque nei pregi. Fermato con colori e pennelli per poterlo interpretare con una revisione introspettiva di grande effetto, di piacevole lettura e di strisciante quanto naturale carnalità.
Giorgio Barberis
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